EXHIBITION
Interior life
linguaggi fotografici
testo di Michelangelo Giovinale
fotografie di
Sabry Ardore, Fabio Donato, Salvatore Di Vilio, Luciano Ferrara, Mario Laporta, Laura Niola, Renata Petti, Stefano Renna, Federico Righi, Franco Sortini, Angelo Turetta
luogo Palazo delle Arti – Capodrise (CE) Italy
Incipit della mostra
La mostra si offre come un’ampia indagine sulla molteplicità/complessità dei linguaggi fotografici, tutti straordinariamente attuali. Da chi conserva nel mestiere l’attitudine a cogliere ancora attraverso lo sguardo fotografico il momento giusto, a chi lo scatto, o la molteplicità degli immagini, lo elabora con postuma interpretazione, filtrando l’immaginario creativo attraverso l’ausilio delle più complesse procedure tecnologiche.
In testata foto Salvatore Di Vilio
Introduzione alla mostra
Il mondo intorno a noi, la nostra vita materiale, le relazioni che viviamo plasmano la nostra coscienza, o viceversa, siamo ancora in grado di toccare la nostra vita interiore, naturalmente, come una sorgente di bellezza e di felicità che alimenta la nostra immagine e la vita esteriore?
Resta un dilemma la domanda sul “chi siamo”.
In fondo, la qualità della nostra vita interiore non dipende tanto dal piacere, dall’amore o dalla considerazione altrui, quanto piuttosto dalla piena accettazione di sé, che Nietzsche ha voluto sintetizzare in quel “diventa ciò che sei”, come qualcosa di ancora accessibile a qualsiasi essere umano.
Eppure, mai – o quasi mai – lo accettiamo come viatico per noi stessi e la storica alternativa di un tempo, essere o apparire, si è risolta in un clamoroso collasso su se stessa.
Un dilemma franato nella moderna sete di consenso altrui, per cui oggi, essere equivale ad apparire con il risultato che proponiamo ad altri fotografie di noi perfettamente sconosciute alla nostra interiorità, che naufragano drammaticamente nella vita reale, semplicemente perché non allineate e inconciliabili con la nostra individualità.
In fondo, questa impellenza di “fermare l’attimo” – mostrarsi al riparo dietro i filtri dell’apparenza – che poi l’attimo oramai neanche tanto fugge, rivela come la fotografia, quale strumento privilegiato del vedere, stia mutando velocemente nel complesso sistema delle immagini e quanto lo sguardo contemporaneo, dei luoghi della nostra vita, e, per chi sa interpretarlo, del nostro inconscio, sia in realtà distante dalla realtà esponendoci inoltre al rischio di spingerci ben oltre la nostra stessa personalità.
Di questa vita interiore e dei suoi lati nascosti, Sabry Ardore, Fabio Donato, Salvatore Di Vilio, Luciano Ferrara, Mario Laporta, Laura Niola, Renata Petti, Stefano Renna, Federico Righi, Franco Sortini e Angelo Turetta, nella mostra fotografica curata da Michelangelo Giovinale per Palazzo delle Arti, hanno selezionato nei loro ampi archivi, le fotografie che meglio fissano il tono vitale della nostra esistenza. Una collezione di Immagini in bianco nero, che, nella scrittura espositiva, disegnano prospettive contraddittorie, di luoghi e di visioni, fra pareti di umori alti e bassi e di scatti tanto reali quanto metafisici che offrono l’opportunità di leggere, se non la felicità, la propensione verso la felicità.
La mostra si offre come un’ampia indagine sulla molteplicità/complessità dei linguaggi fotografici, tutti straordinariamente attuali. Da chi conserva nel mestiere l’attitudine a cogliere ancora attraverso lo sguardo fotografico il momento giusto, a chi lo scatto, o la molteplicità degli immagini, lo elabora con postuma interpretazione, filtrando l’immaginario creativo attraverso l’ausilio delle più complesse procedure tecnologiche.
Poco, o quasi nulla, importa cosa realmente abbia innescato questo straordinario processo di costruzione creativa dell’immagine fotografica d’autore, che provenga da una ricerca sociale, personale o dal racconto di una personale scrittura narrativa per immagini. L’intensità delle opere fotografiche, rivela invece quanto ampio sia il diaframma aperto sulla profondità di ciascuno di questi paesaggi interiori, che la fotografia ancora riesce a penetrare, avvicinandosi terribilmente a quell’idea di felicità, come scoperta di qualcosa che è già dentro e che la fotografia propone come realizzazione o fallimento della moderno
Dopo tutto, questa interior life fotografica ha radici profonde. Antiche.
Diremmo noi un mood, in fotografia un contest, che avvolge e ci orienta. Gli antichi Greci chiamavano la felicità eu-daimonía, riferendosi ad un daìmon, una qualità interiore che ognuno si porta dentro come bagaglio di visioni esperenziali. Una condotta da seguire come l’èthos, che per Eraclito “è una qualità interiore” e che nell’uomo “può anche trasformasi nel suo demone”.