EXHIBITION
Oltremare
testo di Michelangelo Giovinale
in mostra opere di Vittorio Vanacore
luogo MA movimento aperto Napoli Italy
Incipit mostra
Al centro di questa nuova produzione di opere resta il tema del viaggio, esistenziale, prima che di luogo, di luci – nella sua pittura poche – e di lunghissime ombre, di smalti rosso lacca, densi come grumi di sangue e il nero che persiste, tirato fino ai bordi, come catrame esistenziale, dentro cui confinare, se non addirittura annullate, ogni traccia di umanità e ciò che resta della reatà.
In testata un’opera di Vittorio Vanacore
Introduzione alla mostra
Il nero è quel lato oscuro della personalità di ciascuno di noi che rinneghiamo. È la notte della coscienza, di caverne, di ombre e di mostri. Coprente, denso, catramoso. Sospinto fino ai bordi. Il nero è una esperienza limite, per un artista una coltre insuperabile, un confronto durissimo. Un corpo a corpo con la pittura, fra il desiderio della vita e l’avanzare della morte. Spinto agli estremi delle tonalità, i colori segnano questo ultimo ciclo di opere di Vittorio Vanacore. Di fatto, la tela diventa per l’artista un’analisi sul mondo che lo circonda, uno sguardo che si allunga nella profondità dei drammi moderni, fra i tanti che Vanacore sente, uno si fissa forse più degli altri: l’impossibilità di riconoscere dell’altro la sua individualità.
Negli ultimi anni Vanacore ha dato prova attraverso l’esercizio della pittura, di sapersi calare nel tessuto sociale del suo tempo – sempre più clandestino – dove i processi di integrazione e di multiculturalità, di dignità umana, si usurano nel respingimento, di un mare di mancati approdi, sulle cui rotte, naufraga, drammaticamente l’incontro con la vita e il desiderio dell’altro. Al centro di questa nuova produzione resta nella visione dell’artista, il tema del viaggio, esistenziale, più che di luogo, di luci – nella sua pittura poche – e di lunghissime ombre, di smalti rosso lacca, densi come grumi di sangue e il nero che persiste, tirato fino ai bordi, come botola esistenziale dell’uomo, dentro cui confinare, se non addirittura annullate, ogni traccia umana e ciò che resta del mondo reale. Vanacore, negli anni si è calato in una consistente esplorazione interiore, irrequieta, restituita nei tratti netti della sua pittura.
Le recenti opere, segnano un cambio di prospettiva, da soggettiva a oggettiva. Come se avesse voltato lo sguardo, da una visione interiore al mondo reale. Così com’è, nudo e crudo. Oltremare. È sull’antico mondo Mediterraneo che Vanacore pone una persistente riflessione, un Mediterraneo che sente compromesso, quasi prosciugato, “un mare che non bagna più” irrimediabilmente perduto, nella la sua originaria unità di mare, unità di essere e divenire, che ha segnato, il tempo e la storia. L’altro, uomini altri, per patrimoni di conoscenza e di saperi, allo stremo delle forze, sono respinti, oltremare, solcano rotte come odisse, si dovranno accontentare di una vita al margine, condannati al destino di una invisibilità sociale. I fenomeni migratori, di sofferenza e di morte, di partenze e mancati approdi, segnano, agli occhi dell’artista, lo svuotarsi del contenuto dei luoghi e i luoghi del mediterraneo la loro progressiva perdita del paesaggio, in uno scenario di drammatica attualità.
Il ciclo dei neri, la cui superficie pittorica è ustionata dalla forza violenta del sole cocente d’agosto -al termine di una lunga gestazione interiore – sconfina nel bianco calce fra cromie silenti come fantasmi. Nero, bianco e rosso lacca -i cicli che segnano questa ultima stagione pittorica- sono espressioni di sponde agli antipodi, senza gradazioni ne gradienti di identità. Contrasti perpetui che la sa arte racconta della vita. La poetica di un segno informale nella sua pittura, restituisce la sagoma fredda della realtà, nella sua manifestazione più cristallina ed anche più fragile, come le sue barchette di carta, adagiate, nelle sue opere, annegate dentro filamenti di garze, in un perenne e precario stato di equilibrio, su fili tesi, da un capo all’altro. Sono l’esatto contrario di ciò che fu per Ersilia, nelle Città invisibili, di Italo Calvino. Perdere l’uomo equivale a perdere il paesaggio. È l’elaborazione del lutto, della cosa amata. Direbbe Freud, è la perdita di tutto un mondo che ruota attorno alla cosa amata.
È un gesto estremo il cellofan che Vanacore avvolge intorno alle sue opere. Un sottovuoto, chissà se è l’tremo tentativo di salvare “qualcosa” alla putrefazione del tempo. Il gesto sembra essere un rito tombale. Un velo di plastica, sul volto imbiancato dell’umanità. È il bianco ceruleo della morte, il rosso e nero della vita. Un cielo sottovuoto sopra un mare privo di riflessi, di resti e di ceneri. Un mare oltremare. Ancora un filo teso ed una barchetta in equilibro “facendo in modo che la morte non sia l’ultima parola sulla vita”.
Note biografiche
Vittorio Vanacore è nato ad Aversa, vive a Casaluce (CE). Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli, è docente di discipline pittoriche al Liceo Artistico Statale Solimena di S. Maria C.V. Caserta. Fonda il Museo MACS d’arte contemporanea, una vasta collezione di opere d’arti, esposte all’interno del liceo artistico dove insegna. Ad Aversa è promotore e socio di Spazio Vitale, una galleria d’arte contemporanea, che si è distinta per l’elevata qualità della programmazione annuale. Dal 1984 è presente in numerose mostre, in Italia e all’estero. I suoi lavori sono in collezioni private, musei italiani e Spagnoli.