Sabato 10 novembre 2020
C’è di mezzo il destino fra Luigi e le sue opere, di qualcosa di cercato in queste forme leggere della sua pittura, dai contorni indecisi che danno tanto l’idea di ciò che resta di un furioso rito tribale.
Sono tornato per la seconda volta ad Angri. Lo studio subito dietro la porta d’ingresso, un lungo corridoio bianco con alle pareti gli ultimi lavori di Luigi Pagano. Casa e studio, in questa antica dimora, serrata fra altre abitazioni del corso, sono l’una l’estensione dell’altro e non sarà certo un caso se lo studio per primo accoglie chi vi giunge. Altro che una casualità. Lo studio di Luig èi un passaggio obbligato, una soglia necessaria da varcare, in questo domicilio d’artista che sconfin sotto soffitti a volte e basse cantine che custodiscono opere, fra i verdi fogliami degli agrumi del piccolo giardino.
Qui d’estate tutto si fa evento.
Accade sempre qualcosa di ineludibile, sotto il sole cocente d’agosto. Come se la mano dall’artista si prestasse al ruolo di medium, fra la tela e una forza misteriosa e trascendentale che la anima. In questo laborioso fare di Luigi, mentre gli altri sono a mare, tutto si consuma in una articolata quanto immaginifica fenomenologia della luce e del colore. Come in uno stato di narcosi.
Intanto, fuori piove.