EXHIBITION

05 febbraio 2020 – 21 febario 2020

Migrazioni di forme mute

testo di Michelangelo Giovinale

in mostra opere di Raffaele Boemio

luogo Studio arte fuori centro – Roma  Italy

 

Incipit mostra

Raffaele Boemio estrae, -ma sarebbe meglio dire astrae- le forme dal loro abituale circuito di senso, sottraendole alla banale visione e ripresentandola sotto nuova vita. Dotato di olfatto, distilla le essenze più segrete, riassorbendole nel colore e nella luce della sua pittura, come profumi millesimati, sospesi sulla tela come nell’aria in segni leggeri, di toni cromatici velati, impercettibili e volatili allo sguardo.

 

In testata

Semiotioca 2019 tecnica mista su tela cm120x90

 

Introduzione alla mostra 

Cosa c’è all’interno di ogni forma, racchiuso in ogni fattezza, che la complessa modernità ci impedisce di cogliere, come risorsa segreta, muta eloquenza, del senso intimo delle cose, dell’uomo, della natura e del nostro tempo?

Del dialogo fra interno ed esterno, la pittura di Raffaele Boemio ci dice che ogni sorta di forma altro non è che un confine sottile tracciato tra una superficie e un’altra. Ancora che, tutto ciò che ha un esterno, come per un epiderma ha anche un sottostante derma, fra loro saldamente connessi e che, nel tempo assieme evolvono, assumendo forme diverse, a proteggere il corpo dall’azione del tempo.

“Ci sono giorni di silenzio, a volte mesi dove nulla nel mio studio accade, poi qualcosa succede. Questa pittura racconta, emette suoni, si dispone d’un tratto come in un equilibrio perfetto, inatteso, prendendo forma, e, a me svelando o quasi, sogni e visioni e il senso intimo delle cose”.

Tanto basta, a dare la misura della fertile produzione artistica di Raffaele Boemio e di quanto il tempo della creazione sia per l’artista un tempo d’attesa.
E’ una costante che lo accompagna da sempre nella sua decennale produzione, – fin dagli esordi – ed è significativo di come per lunghi anni Boemio si sia dedicato al tema del ready made, (la pratica del riuso), che evolverà poi in un maturo ready dead.

Raccogliere dal nulla, nel suo studio, ogni sorta di oggetto o di materia desueta, per lo più di scarto, che porrà a sedimentare per lungo tempo, per indagarne il significato e il mistero della forma, fino a coglierne -come per Morandi- la forza immanente, insita e inseparabile delle cose, fra le cose e al loro interno. E’ una processo lento di migrazione, una attesa inquieta.

Boemio estrae, -ma sarebbe meglio dire astrae- le forme dal loro abituale circuito di senso, sottraendole alla banale visione e ripresentandola sotto nuova vita. Dotato di olfatto, distilla le essenze più segrete, riassorbendole nel colore e nella luce della sua pittura, come profumi millesimati, sospesi sulla tela come nell’aria in segni leggeri, di toni cromatici velati, impercettibili e volatili allo sguardo. Ne “fa uscire la cosa” scriverà Jean-Lui Nancy – come in un rito di ostensione – “dalla sua semplice apparenza per metterla in reale presenza”. Accade per legni, ferri, pietre, radici di piante, guaine di bitume, che sono liberati dal loro valore oggettuale, dall’essere e dal peso della forma. Una resurrezione del corpo che migra, per mano dell’artista, verso un mondo altro.

Le opere in questi anni raffigureranno una poetica dell’oggetto e, al tempo stesso, una poetica del silenzio.
Migrazioni che avvengono con lievi variazioni cromatiche, in questa ultima stagione prevalentemente limitate al monocromo, restituendo, attraverso un processo di trascendenza, la quinta essenza dell’immanenza.
È una pratica complessa, fantastica, a cui si sottopone Boemio, che Paul Klee, nelle sue lezioni al Bauhaus, (1922-23) teorizzò, richiamando il pensiero goethiano, delle “energie primarie della figurazione che plasmano e articolano la forma”, mostrando, inoltre, in alcuni recenti opere, come Boemio sappia disporre di una strutturata capacità del vedere e del sentire, che ripropone al nostro tempo, come pratica possibile per ritrovare le ragioni del guardare le cose del mondo, riscoprendone il significato più intrinseco.
Negli ultimi anni, il campo di ricerca è ancora più stringente sui temi della visione.

Una persistente linea taglia le sue opere, come a ricordare un orizzonte.
Un segno che si dispiega fra natura e pittura, come detto in precedenza, incline allo scambio fra epiderma e derma.
Un crescendo che mostra della sua maturità d’artista nel saper cogliere “nelle zone del proprio essere” la realtà e la forza intrinseca della forma, delle cose che il suo sguardo penetra, e che, come in un viaggio immaginario sono destinate ad abitare atmosfere di inediti, quanto surreali, paesaggi fantastici, che si spalancano come finestre, varcando la soglia del suo studio.
Questo “portare alla luce” forme e figure dal rimando onirico, scavare nell’ombra dell’esistenza della natura e dell’umano, possiede un autentico senso del rivelare quel dinamismo interno, un microcosmo di verità e segreti che solo il silenzio sa custodire. Come nell’anima.


 

Il video del vernissage