EXHIBITION
Motus Animi
testo di Michelangelo Giovinale
in mostra opere di
Marco Abbamondi, Giancarla Frare, Gaetano La Monaca, Luigi Pagano, Eliana Petrizzi
luogo Palazo delle Arti – Capodrise (CE) Italy
Incipit mostra
Il pathos, che si voglia ricondurlo alla capacità di suscitare un’intensa emozione o contrapporlo magari, all’ethos, più tenue, troverà in Heidegger, una teoria delle emozioni, praticabile nell’esistenza umana. Qualcosa, dirà Heidegger, non riconducibile a una reazione, una collisione, piuttosto, ai moti dell’anima, sono scoperta essi stessi del mondo e quindi di uno spazio nuovo e forse ancora più ampio della vita.
In testata un’opera d Giancarla Frare
Stati di permanenza – materia e memoria
cm 75×53 – tecnica inchiostro di china, pigmenti e innesto fotografico
Introduzione alla mostra
Nella storia della pensiero filosofico, disseminata da emozioni e sentimenti, ci si interroga frequentemente, se interpretare la melanconia e l’istinto, trascinati nelle dinamiche delle emozioni, sia un ostacolo da eludere o una soglia da varcare.
Cosa è in fondo l’esistenza umana? Certi modi del sentire che si assottigliano in infinitesimali sfumature di conflitti esterni che premono quotidianamente sul mondo interno?
Il pathos, che si voglia ricondurlo alla capacità di suscitare un’intensa emozione o contrapporlo magari, all’ethos, più tenue, troverà in Heidegger, una teoria delle emozioni, praticabile nell’esistenza umana. Qualcosa, dirà Heidegger, non riconducibile a una reazione, una collisione, piuttosto, ai moti dell’anima, sono scoperta essi stessi del mondo e quindi di uno spazio nuovo e forse ancora più ampio della vita.
Osservava Boccioni che “certe forme cominciano a parlare come musica, i corpi aspirano a farsi atmosfera, spirito e il soggetto è già pronto a trasformarsi in stato d’animo”.
Era l’alba della modernità. Scienziati e letterati si adoperavano a decifrare la buia psiche umana e artisti inquieti e visionari, sperimentavano nuovi linguaggi del vedere e del sentire.
Della stessa tempra è il lavoro di Marco Abbamondi, Giancarla Frare, Gaetano Lamonaca, Luigi Pagano, Eliana Petrizzi, di palpabili confronti dialettici.
Tornando a Boccioni, si è voluto, in Motus animi, portare lo spettatore al centro dell’opera, trascinandolo nelle dinamiche delle emozioni, superando il dualismo fra spazio interno/esterno, dove la narrazione espositiva conserva un profilo di essenzialità, tipico delle tonalità emotive, quali strati profondi della vita umana.
Cinque atmosfere, con la possibilità in itinere di coglierne infinite, riconciliando la coscienza – il mondo interno a noi – e il mondo – intorno a noi -.
Non ha carattere metaforico il ricorrere alle atmosfere. I moti dell’anima scriverà ancora Heidegger sono tessuti atmosferici, al cui interno, si muovono per Luigi Pagano le sue forme fluide allo sguardo, che si addensano sulla tela, eludendo il tempo nel suo verso lineare e circolare. L’opera, per mano dell’artista – fin dalla sua genesi – si compie attraverso una profonda narcosi creativa. Dice Pagano, “mi muovo come un rabdomante”, portando in superficie atmosfere alchemiche, di colori rubedo, nigredo, tonalità di blu affioranti dal nero e di luci dischiuse, come squarci nel bianco dell’albedo.
Ancora un tempo diverso di attesa, è la quadreria di Gaetano Lamonaca, di persistente inquietudine corporea, che sembrerebbe suggerire un male de vivre.
Un’attesa – ma sarebbe meglio dire una sala d’attesa – come logorio del tempo, dove figure affamate di futuro, ma dominate dal peso del presente, posano in precario equilibrio, nell’incarnato pittorico che a stento trattiene una lenta, corrosiva, emotività.
Di altro sapore i moti dell’anima declinati da Marco Abbamondi, opera centrale nel percorso della mostra, che consente di calarsi, concretamente, in un’atmosfera di infinite tonalità blu.
Abbamondi è un puro. La forma poetica del suo linguaggio è pura. Le cromie, pure.
Il suo è uno spazio d’introspezione, costruito su una scala di accordi tonali, fra il gioco a parete delle superfici estroflesse e la grande istallazione, al centro della sala, che raccoglie dal Marocco pigmenti di colore blu.
Nel richiamare suggestioni di paesaggi lontani, Abbamondi, impregna lo spazio di trascendenza, proiettandolo in una dimensione altra, di immanenza delle cose.
L’opera è un extra corpore, un “nulla più”; in cui la mostra si “ribalta” nella luce e nel colore, che “a-nulla” quel senso di angoscia proprio del pensiero filosofico di Heidegger, che sovrasta l’uomo di fronte al nulla.
Se la pittura di Gaetano Lamonaca si addensa sulla tela con impasti di corposa materia, la quadreria di Eliana Petrizzi gli si oppone in una progressiva dissoluzione delle forme.
Sguardi e paesaggi sono disciolti in un universo emotivo, che fluttua nello spazio rarefatto di atmosfere intrise di mistero.
Un motus animi nelle regioni interiori del corpo che Petrizzi riverbera nelle scarne superfici pittoriche, di luci lontane, irraggiungibili, nell’iride disincantato degli occhi dei suoi volti e nell’aria densa, sotto le nuvole, umida di silenzio. Di volti e di paesaggi, qualcosa nella luce si discioglie … qualcosa, invece … resta fisso nell’ombra, fra le accese tonalità monocrome, dove sagome affilate e profili esistenziali disegnano i luoghi silenti dell’anima.
Gina è una anziana donna di oltre cent’anni, che in vita aveva progressivamente perso la memoria, ma recitava, come una nenia, ad memoria, passi della Divina Commedia e dell’Orlando Furioso.
È la proiezione video che l’artista Giancarla Frare ha istallato come varco d’uscita dalla mostra. L’opera si completa con sette interpretazioni che indagano il viaggio.
Innesti fotografici su pittura realizzati con pigmenti naturali, paesaggi interiori, che Frare raccoglie in soggettiva, nel cammino personalissimo della sua ricerca. Per lo più, questi frammenti di pietra, reperti di archeologia, sono isolati dal loro contesto, chiusi in fitte trame di segni di china, dove, bianche luci seleniche e ombre nere come botole profonde, si scontrano, in un corpo a corpo sulla superficie rarefatta ed essenziale della sua opera.
Nell’isolare queste testimonianze di tempo e di storia, Frare sembra volerci dire, che nel cammin di nostra vita, di noi, qualcosa pur resta. Motus animi, che persiste, come eredità, oltre la morte. Dante direbbe larve dischiuse a formar angeliche farfalle che resistono al tempo … e danno, ancora voce, a Gina.